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Illustrazione da "Le fiabe dei Fratelli Grimm" di Noel Daniel, Edizione Taschen. Il lupo è sicuramente il più famoso cattivo delle fiabe.

Chi ha paura del lupo cattivo?

Ultimamente sembra che i cattivi nelle fiabe non esistano più. Sembra, infatti, essere nata una nuova moda che consiste nel censurare e riscrivere le fiabe tradizionali. Ma questa censura sarà davvero utile? O potrebbe, al contrario, rivelarsi una moda “pericolosa”?

La pericolosa moda di censurare le fiabe

Duranti i miei incontri sulla lettura, una domanda che genitori e insegnanti mi rivolgono molto spesso è se sia ancora valido leggere ai bambini le fiabe della millenaria tradizione orale, quelle giunte fino a noi principalmente grazie alle trascrizioni (e rielaborazioni) di Charles Perrault e dei fratelli Grimm.
Il motivo della domanda sta nella presunta crudezza di queste storie, per cui molti insegnanti faticano nel proporle ai bambini (soprattutto al di sotto dei 5 anni) nel timore di spaventarli. L’idea è che temi quali abbandono, malattia, fame, ma anche incesto e morte, siano fuori dall’esperienza del bambino e che quindi sottoporli al loro ascolto anziché tranquillizzarli, potrebbe generare in loro inquietudine.
Niente di più falso.

Non sono infatti le storie a scatenare nei bambini incertezza, ma il contatto con il mondo esterno, contatto dal quale non dobbiamo preservarli, ma prepararli.
Occhio, quindi, a tutto quel filone della letteratura dell’infanzia contemporanea che censura, stravolge e ribalta le fiabe classiche con l’unico risultato di svuotarle del loro significato e di vanificarne la loro funzione.

La figura del lupo cattivo…

Pensiamo, ad esempio, alla figura del lupo cattivo che in quest’ottica di “rivisitazione” diventa solo una vittima del pregiudizio altrui: anche lui è buono e gentile come Cappuccetto e, bisognoso di affetto, vaga nel bosco solo in cerca di un amico.
Questa operazione ‘censoria’ (apparentemente innocua e nobilmente rassicurante) è invece tremendamente pericolosa e rischia di ottenere l’effetto contrario!

Dicendo che il Lupo in realtà è buono, non solo generiamo nel bambino confusione (perché non gli diamo la possibilità di distinguere in maniera netta ciò che è Bene da ciò che è Male e, conseguentemente, non attiviamo in lui la capacità di mettersi in guardia di fronte al pericolo), ma lo facciamo anche sentire sbagliato perché di fatto gli stiamo dicendo che ciò che lui percepisce come Cattivo in realtà è Buono!

… e quella del cacciatore

Se quindi vogliamo che il bambino elabori la propria paura e tragga conforto dalla narrazione, non bisognerà negare la paura, ma rappresentarla a livello simbolico (un animale feroce e famelico), accompagnandola da un’altra immagine simbolica (il cacciatore) che tale “mostro” sconfigge.
La fiaba, quindi non nega, non nasconde, non mente. La fiaba dice: il Male esiste, ma esiste anche il Bene; possiamo avere Paura, ma anche molto Coraggio; la Felicità esiste, ma bisogna conquistarla. E non è di certo con un ragionamento consolatorio e razionale che noi adulti possiamo trasmettere questi messaggi, perché (quando si è piccoli) solo la visione del mondo della fiaba concorda con la visione del bambino.

I cattivi nelle fiabe

Nel libro “Teatro infantile. L’arte scenica davanti agli occhi di un bambino”, l’attrice e drammaturga Chiara Guidi racconta questo episodio: una volta, durante una delle rappresentazioni dello spettacolo di “Pelle d’asino”, un’intera scolaresca fu obbligata a uscire dal teatro, perché le insegnanti ritenevano immorale che il padre, nella favola, facesse una dichiarazione d’amore alla figlia.

Mentre uscivano - racconta la Guidi - i bambini protestavano, perché erano consapevoli che la messa in scena, con i suoi elementi visionari, sapeva contrastare l’orribile proposta del padre [...] Nell’arte del racconto l’orrore non ammorba e non pesa, come avviene invece quando si dà una nefanda informazione [...] Dal “C’era una volta…” al “... vissero felici e contenti” si traccia un arco che riguarda la vita e il destino. Se tra un bambino e la sua esperienza si colloca l’adulto, con la sua ferma certezza della propria esperienza, il bambino non può sentire il pericolo ed è privato della possibilità di mettersi in cammino per dare a quel pericolo la propria risposta…(1)

I bambini e la loro realtà interiore

Detto in altre parole, leggendo queste “terribili” storie al bambino, un adulto gli dà un’importante dimostrazione del fatto che considera le sue esperienze interiori – così come espresse nelle fiabe – degne, legittime, sotto qualche aspetto addirittura “reali”. Ciò dà al bambino la sensazione che conseguentemente (e implicitamente) anche lui è reale e importante. Se al contrario al bambino vengono raccontate (solo) storie fedeli alla realtà e/o fiabe della tradizione depurate dal loro lato oscuro (e quindi storie “false” rispetto alla sua realtà interiore), il bambino arriverà alla conclusione che gran parte della sua realtà interiore è inaccettabile per gli adulti.

Come scrive Bruno Bettelheim – in quello che per me è una pietra miliare sul tema della funzione della narrazione nel processo educativo:

Quando tutto il fantasticare di desideri miracolosamente realizzati dal bambino s’incarna in una fata buona, quando tutti i suoi desideri distruttivi si incarnano in una strega cattiva, tutte le sue paure in un lupo verace, tutte le sue richieste della sua coscienza in uno stregone incontrato durante un’avventura, tutta la sua collera gelosa in un animale che strappa via col becco gli occhi ai suoi arcirivali, allora il bambino può finalmente cominciare a operare una cernita fra le sue contraddittorie tendenze. Iniziato questo processo, il bambino viene a trovarsi sempre meno inghiottito da un incontrollabile caos”.(2)

Ma – ahimé – la mia esperienza quasi ventennale come educatrice teatrale, mi ha portata a constatare come nei bambini l’immaginario fantastico e simbolico delle fiabe (e dei loro cattivi) sia sempre più assente e tale lacuna ha tragicamente sottratto ai più piccoli lo scenario privilegiato della propria vita emotiva interiore. E questo ha impoverito l’infanzia, gettandola in una condizione di solitudine invisibile con la quale, crescendo, saranno (e saremo) costretti a fare conti.

E voi cosa ne pensate? Lasciateci un commento 🙂

Se invece avete bisogno di altre idee e suggerimenti più specifici scriveteci all’indirizzo email redazione@accademiadeglistracuriosi.it. Il team dell’Accademia degli Stracuriosi è a vostra disposizione per aiutarvi a trovare idee creative per rendere più divertente anche ciò che solitamente non lo è.


(1) Chiara Guidi, Lucia Amara, “Teatro infantile. L’arte scenica davanti agli occhi di un bambino”, a cura di Cristina Ventrucci, Luca Sossella Editore, pp. 76-77.
(2) Bruno Bettelheim, “Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe”, Universale Economica Feltrinelli, pp. 67.

Alessandra Maltempo

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