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Libri commerciali e opere letterarie per l’infanzia. La differenza che fa la differenza.

Come scegliere un buon libro per bambini? E perché è così importante saper distinguere un libro commerciale da una vera opera letteraria per l’infanzia? Ne parliamo in questo articolo della nostra Stracuriosa Alessandra.

C’è un aspetto che negli incontri sul tema “come avvicinare i bambini alla lettura” non sempre si affronta o non si approfondisce abbastanza e che invece per me è assolutamente centrale ovvero la capacità di scegliere buoni libri e di distinguere, quindi, un prodotto commerciale da un’opera letteraria.

Perché è importante saper scegliere un buon libro per bambini

La qualità del libro è infatti fondamentale nell’intento di appassionare i bambini alla lettura; non solo. È più che fondamentale se nella nostra azione educativa consideriamo il libro sia come una porta d’ingresso al mondo interiore del bambino, sia come strumento privilegiato per un esercizio introspettivo da parte del piccolo lettore.

Avrò sicuramente espresso questa missione della letteratura in altri articoli, ma torno a evidenziarlo anche qui come premessa dell’articolo di oggi.
Se ai nostri bambini leggiamo un “brutto” libro non abbiamo offerto ai nostri ascoltatori un buon “servizio” ovvero non abbiamo assolto alla missione di cui sopra. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che “meglio di niente” e che comunque abbiamo lavorato positivamente sul piano del legame affettivo. Tutto questo è innegabile; tuttavia, personalmente,  al “meglio di niente”io preferisco il “si può fare meglio”.

Pertanto, togliamoci dalla testa, una volta e per sempre, che tutto ciò che è pensato, prodotto e impacchettato per l’infanzia sia “buono e giusto” per il solo fatto che sia rivolto ai bambini. Esistono invece libri brutti, dozzinali, furbi, offensivi dell’intelligenza infantile, frutto di un’operazione di marketing più che del talento di uno scrittore e che è bene riconoscere ed evitare accuratamente!

I bambini, infatti, possono amare la lettura, sentire il bisogno di ascoltare o leggere una storia, solo se questa ha un dono da offrire. E questo dono è qualcosa di talmente delicato, profondo, impalpabile, eccitante, poetico, sentimentale, ambivalente, immaginifico, da risuonare dentro il bambino a livello conscio e inconscio; insomma, da lasciare una traccia.

Ecco, quindi, cosa, secondo me, fa di un libro per bambini un’opera letteraria potente!

6 elementi che caratterizzano un’opera letteraria per l’infanzia

1. Il punto di vista del bambino

Innanzitutto, il punto di vista dell’autore. E’ molto evidente, per chi ha un minimo di dimestichezza con i libri per bambini, capire se la storia è raccontata dal punto di vista dell’adulto (colui che scrive) o del bambino (colui che legge). Non si tratta qui dell’io-narrante (che è un concetto squisitamente “tecnico”, di scelta drammaturgica e stilistica), ma dello spirito, del pensiero e della sensibilità che abita lo scrittore mentre immagina una storia per bambini. 

2. Il linguaggio orizzontale

Conseguentemente, si tratta di capire se il linguaggio usato è ‘verticale’ (è l’io-adulto dello scrittore che parla all’io-bambino del lettore) o ‘orizzontale’ (è l’io-bambino dello scrittore che parla all’io-bambino del lettore).

3. Il mondo interiore dei bambini

Ancora, in altre parole, si tratta di capire se la storia mette in scena il mondo esteriore degli adulti o quello interiore dei bambini ovvero se il libro ha come obiettivo quello di “adultizzare” il bambino, di istruirlo prescrivendo regole ed esplicitando la morale per rendere ‘perfetto’ un “burattino” imperfetto (ah! quanto ci sarebbe da dire su “Pinocchio”, così amato da genitori e maestri perché inteso come un testo sull’importanza di diventare grandi e altrettanto amato dai bambini per il motivo esattamente opposto ovvero perché in realtà è una storia sull’importanza della ribellione verso il mondo degli adulti!). 

4. Il pensiero magico

Un buon libro è quindi quello in cui il protagonista vede, sente, interpreta il mondo (reale e fantastico insieme) con i suoi occhi e cerca di risolvere il conflitto tra il e l’Altro-da-Sé (ovvero il ‘dentro’ e il ‘fuori’) a modo suo. Ecco perché un buon libro perl’infanzia non può non fare appello al pensiero magico dei bambini e mettere da parte quello logico e razionale degli adulti, usato fin troppo in abbondanza nella vita quotidiana (ma la letteratura è ben altra cosa!).

5. Il valore dell’infanzia

Un buon libro non fa sentire sbagliati i suoi lettori perché troppo ingenui, perché indifesi, perché ancora non sanno “come funziona il mondo”, perché meglio crescere in fretta che se no sono guai! 
Un buon libro, al contrario, riconosce e trasuda da ogni pagina il valore intrinseco dell’infanzia; è (per dirlo con le parole di Tomi Ungerer) “il racconto che fa appello a un’infanzia curiosa, ribelle, fantasiosa, libera”.

6. Il libro che parla al bambino che siamo stati

Infine, un buon libro è quello che parla anche all’adulto ricordandogli cosa vuol dire essere stati bambini. E’ un libro che tocca corde non suonate da tempo, è un libro sul ritrovamento di quel bimbo dimenticato e che pure reclama ancora il suo posto e la sua voce. Perché anche l’infanzia più felice nasconde ombre: richieste non ascoltate, sogni non realizzati, paure non risolte, ingiustizie non riparate. E così, ricordando il bambino che siamo stati, guardiamo con occhi diversi i nostri figli e i nostri alunni. 

Un esempio di un buon libro per bambini

Ecco cos’è un buon libro per bambini: quello che quando si finisce di leggerlo, entrambi si rimane in silenzio per un po’… e ci si sente più vicini e simili di prima… un po’ col magone e un po’ sollevati, a volte anche con gli occhi un po’ lucidi come è accaduto a me e Lorenzo qualche giorno fa terminando il libro La Strada di Winnie Puhdi A. Milne.

Un finale struggente quello in cui Christopher Robin e il suo orsetto si lasciano. A mio avviso, un vertice della letteratura, non solo dell’infanzia. Christopher Robin è il bambino che non sarà più e il suo Orsetto il bambino che è e che sempre sarà. Un gioco di specchi, in cui identificarsi e commuoversi insieme.

“Che cos’è la cosa al mondo che preferisci fare, Puh?” [...]
“La cosa che preferisco in tutto il mondo è quando Io e Porcelletto veniamo a trovare Te, e Tu chiedi: ‘Che ne direste di qualcosina?’ e Io dico: “Be’, non mi dispiacerebbe affatto qualcosina, e a te Porcelletto?’ e fuori è un bel giorno canterino e gli uccelli cinguettano”.
“Anche a me piace” disse Christopher Robin, “ma la cosa che preferisco fare in assoluto è Niente”.
“E come si fa Niente?” chiese Puh, dopo averci riflettuto a lungo.
“Be’, è quando ti chiamano proprio quando stai andando a farlo e ti chiedono: ‘Che cosa stai andando a fare, Christopher Robin?’ e tu rispondi: ‘Oh, niente’ e poi vai e lo fai”
“Ah, ho capito”  disse Puh.
“Adesso stiamo facendo una cosa nientosa [...] passeggiare, ascoltare tutte le cose che non si possono sentire e non preoccuparsi.
[...]
“Puh, quando sarò… hai capito… quando non farò più Niente, verrai quassù qualche volta?”
“Da Solo?”
“Sì, Puh”.
“Ci sarai anche tu?”
“Sì, Puh, ci sarò, davvero. Prometto che ci sarò, Puh”.
“Bene” disse Puh.
“Puh, promettimi che non mi dimenticherai, mai. Neanche quando avrò cent’anni”.
Puh rifletté un istante.
“Io quanti anni avrò?”

“Novantanove”
Puh annuì

“Prometto” disse.
[...]
“Puh, qualunque cosa succeda, tu capirai, vero?”
“Capirò che cosa?”
“Oh, niente”. Christopher Robin rise e saltò in piedi. “Andiamo!”.
“Dove?” chiese Puh.
“Dovunque” rispose Christopher Robin

Così si incamminarono. Ma ovunque vadano, e qualunque cosa gli succeda per strada, in quel posto incantato in cima alla Foresta, un bambino e il suo Orso staranno sempre giocando.

Alessandra Maltempo

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