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La bellezza rende l'esperienza estetica anche emozionale

B come Bellezza: quando l’esperienza estetica si fa esperienza emozionale

Come artista ed educatrice teatrale, credo fortemente che fra gli obiettivi della formazione dell’essere umano debba esserci l’educazione alla Bellezza.

Ma cos’è la bellezza? Come possiamo tenerla al centro della nostra azione educativa? Come possiamo fare in modo che i nostri bambini e ragazzi la incontrino nel quotidiano?

Cosa intendiamo per bellezza?

Partiamo innanzitutto dal suo significato: educare alla bellezza non significa insegnare cosa è bello e cosa è brutto, perché questo ricondurrebbe il significato della parola esclusivamente a canoni estetici, legati alla forma.

C’è una definizione di bellezza che mi piace moltissimo ed è quella del filosofo Elio Franzini che dice:

“Si ha bellezza quando si genera un’armonia tra la natura dei sentimenti e la natura degli oggetti”.

Questa definizione porta a due considerazioni importanti:

  1. la prima è che educare alla bellezza vuol dire favorire sensibilità e competenze emozionali (la ‘natura dei sentimenti’ di cui sopra);
  2. la seconda è che l’educazione alla bellezza non ha che fare con l’atto contemplativo, ma con una partecipazione attiva che sta sia nella ricerca del significato intrinseco di un’opera, sia nella scoperta del percorso creativo e operativo che a quell’opera conduce.

In questo senso la parola Bellezza si collega sorprendentemente alla parole Azione, di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente “A come Azione: una parola chiave in ambito educativo”.

La bellezza che c’è – ad esempio – in un’opera d’arte, (sia essa un quadro, un libro, una musica o uno spettacolo teatrale) ci chiama infatti ad agire: ovvero a interrogarsi, a cercare risposte, a scoprire significati, a decifrare il mistero che cela la forma. Perché l’arte non nasce con fini estetici, né decorativi, ma con una funzione magica e propiziatoria. Con i suoi graffiti sulle pareti delle caverne, l’uomo primitivo credeva infatti di poter modificare a suo vantaggio la realtà, allontanando le forze della natura a lui ostili (terremoti, temporali) o per lui inspiegabili (la morte) e propiziando quelle favorevoli (i raccolti, le guarigioni dalle malattie, ecc.).

L’arte è dunque azione!

Un’azione che si esplica in un’esperienza sì estetica, ma anche morale che può e deve incontrare la sensibilità del bambino. Le opere letterarie o cinematografiche dedicate all’infanzia non assolvono forse anch’esse a una funzione magica e propiziatoria? Non cercano forse i bambini un ideale che racchiuda bellezza e bontà, nel loro innato “rifiuto” si separare la ragione dal sentimento, la mente dal cuore?

Se  l’arte rappresenta e trasmette da sempre gli aspetti più significativi dell’esperienza umana, ecco allora che possedere gli strumenti intellettuali per cercare e  riconoscere la bellezza, non vuol dire rinchiudere i bambini nella formulazione di giudizi, ma significa (come dice il pedagogista Marco Dallari) far proprio un modello di qualità della vita capace di sottrarsi all’identificazione della parola benessere e felicità con modelli legati al denaro e al consumo.

E oggi, più di ieri, è molto facile che i nostri bambini e ragazzi abbiano accesso quotidiano – attraverso tv, internet e social network – a modelli estetici “brutti” che contengono singificati “cattivi”, e questo vale anche per molti contenuti pensati proprio per loro e quindi apparentemente innocui.

Come coniugare la bellezza con la pedagogia e l’apprendimento

Detto ciò, veniamo alle altre domande: come possiamo tenere la bellezza al centro della nostra azione educativa? Come possiamo fare in modo che i nostri figli o alunni la incontrino anche in una dimensione quotidiana e non necessariamente straordinaria?

Innanzitutto, pensando all’arte non come il fine, ma come il mezzo: usarla, cioè, per aiutarci a collegare l’educazione alla narrazione e alla comprensione del reale attraverso la costruzione di significati.

Ad esempio: con un dipinto, una musica, una poesia e attraverso le suggestioni e il fascino che queste esercitano, possiamo più facilmente ed efficacemente veicolare contenuti e messaggi; a patto che, però, lasciamo ai nostri bambini uno spazio interpretativo soggettivo.
L’opera d’arte, infatti, lascia sempre dei campi vuoti che vanno riempiti di significati da chi la fruisce; se noi adulti – attraverso delle domande e la discussione – noi facilitiamo i bambini in questa ricerca di significati, allora avremo non solo contribuito alla formazione di un gusto estetico, ma avremo anche alimentato in loro curiosità, creatività, capacità critiche di pensiero e di scelta autonoma.

In un ambito più squisitamente didattico, la bellezza si presenta, quindi, come una porta di ingresso a temi difficili e complessi, che spaziano dalla storia, alla scienza, ma soprattutto all’attualità, in quanto offre chiavi di letture per nulla banali e scontate.

Se, ad esempio, vogliamo parlare ai nostri bambini di immigrazione o della guerra, di certo non possiamo pensare a spiegare il “fatto” nudo e crudo: la dimensione emotiva ed etica di tali accadimenti ha una portata enorme a cui il bambino non può e non deve sfuggire, ma – al contrario – in cui deve sostare.
In questi casi possiamo ricorrere a modalità di carattere estetico – come l’arte figurativa, il teatro, la poesia, ecc. – e quindi all’utilizzo di un linguaggio ricco di simboli e metafore, in modo da stimolare nei bambini non solo una conoscenza dell’argomento, ma anche una riflessione e la formazione di una propria idea sull’argomento.

La bellezza non sta solo nell’arte

In chiusura, una precisione importante. Abbiamo finora associato alla parola bellezza, la parola arte. In realtà la bellezza non è esclusivo appannaggio dell’arte. L’esperienza della bellezza è potenzialmente ovunque, quindi non cadiamo nell’errore che, ad esempio, un’insegnante di scienze o di geografia o di matematica non possa far fare esperienza della bellezza ai propri alunni durante le sue lezioni.

La bellezza sta innanzitutto nella natura, nell’esplorazione, nell’invenzione e nella ricerca, in quanto anch’esse suscitano – esattamente come l’arte – i sentimenti della sorpresa, della meraviglia e dello stupore.

Quindi, in questo senso, lo stupore di uno scienziato di fronte a una scoperta (e il desiderio di condividere quella scoperta,) è bellezza. Archimede che esclama “Eureka!” quando, immergendosi nella vasca da bagno, nota che il livello dell’acqua è salito (e quindi deduce una legge fisica) e si mette a correre nudo per le vie di Siracusa per raccontare a tutti la sua scoperta, è bellezza!

L’uomo che per la prima volta mette il piede sulla Luna è bellezza! I colori dei pesci e dei fondali dei mari tropicali è bellezza! La geometria dell’universo è bellezza! Ma lo è nella misura in cui riusciamo a raccontarlo passando attraverso lo stupore e la meraviglia che sanno suscitare.

Concludendo…

Educare alla bellezza non è snobismo elitario, ma è dirigere l’attenzione, l’osservazione e la riflessione dei nostri figli e alunni verso le piccole e grandi cose che ci circondano.

Per questo non si educa alla bellezza solo in un teatro o in un museo, ma anche semplicemente durante una passeggiata nella natura o mentre si ascolta una musica o si guarda l’illustrazione di un libro.


Questo articolo fa parte della rubrica: “Il metodo Stracuriosi dalla A alla Z”. Settimana dopo settimana, lettera dopo lettera, condivideremo con voi quali sono i principi, i valori, le parole chiave alla base del nostro metodo. Scopri tutte le altre lettere.

Photo by JESSICA TICOZZELLI from Pexels

Alessandra Maltempo

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