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maestro che insegna musica agli alunni vicino a un pianoforte

Liberi di creare: un diverso approccio all’insegnamento della musica

Ritorniamo sull’argomento della didattica musicale nelle scuole che, come ormai sapete, abbiamo fortemente a cuore, poiché crediamo che la musica possa davvero essere al centro di una didattica delle competenze, tra cui in particolare lo sviluppo del pensiero critico, analitico e creativo.

Venerdì scorso abbiamo tenuto una live (puoi rivederla su Instagram o YouTube) con Matteo Manzitti, musicista, compositore, didatta nonché autore del libro “Musica in libertà. La creatività come base della formazione musicale” pubblicato da Edizioni Curci.

Personalmente, ricordo ancora quando Matteo una sera a cena, durante una delle nostre residenze di co-creazione musicale, mi raccontò che stava scrivendo questo libro. Io avevo già avuto modo di vederlo lavorare, eppure rimasi estremamente affascinata dal capovolgimento di pensiero alla base del suo metodo.

Applicazione pratica del pensiero compositivo

Mentre tutti (soprattutto chi, me per prima, ha studiato musica negli ambienti accademici) pensano che la composizione sia l’apice di un’altissima piramide, alla cui base ci sono anni e anni di studio della grammatica musicale, già qualche decennio fa importanti compositori e pedagoghi musicali ci dicevano esattamente il contrario: non è vero che prima bisogna insegnare a leggere ed eseguire la musica, a suonare uno strumento, ad analizzare partiture e poi (forse) si può comporre, ma è vero esattamente il contrario, ovvero che la musica la possiamo comprendere meglio proprio partendo da un’applicazione pratica del pensiero compositivo.

Sembra quasi impossibile questo cambio di prospettiva, eppure – ci dice Matteo – in altre discipline questo già avviene. Ai bambini, già a partire dall’asilo, viene chiesto di esprimere il proprio pensiero creativo attraverso il disegno. Colori, forme, linee, tratti sono utilizzati come elementi da rielaborare. Si potrebbe obiettare che, rispetto alla musica, l’arte visiva non è poi così “formalizzata”. Dipende: se pensiamo a un’opera di Caravaggio lo sarà sicuramente, se pensiamo a Mirò meno. Stessa cosa vale per la musica: esistono “piattaforme” non codificate nelle quali un bambino di 7/8 anni (che sta cioè sviluppando quello che è il pensiero astratto e che sta imparando a giocare con delle regole) può creare musica.

Queste “piattaforme” (come le definisce Matteo) le troviamo nella musica contemporanea. Quella che a noi sembra la musica più ostica e più concettuale è in realtà quella maggiormente vicina al pensiero creativo di un bambino. Ovviamente – precisa Matteo – non tutta la musica contemporanea; bisogna scegliere, ma in linea generale quello che accade nel ’900 musicale è che si abbassa il livello di codificazione. Esattamente come nell’arte visiva contemporanea, la sintassi diventa più semplice.

Prendendo alcune di queste composizioni (nel suo libro Matteo tra le tante cita “Esercizio di pazzia n. 1” di Francesco Filidei), capiamo immediatamente che possiamo lavorare con delle forme molto riconoscibili, che non sono caricate di tutta una serie di elementi tecnico-decorativi di cui è invece piena la musica cosiddetta classica. Sicuramente un bambino può ascoltare Beethoven e Mozart, ma altrettanto sicuramente non potrà capire la struttura di quelle composizioni e quindi replicare in termini compositivi una sonata o una sinfonia. Al contrario, moltissime composizioni contemporanee possono essere prese come modelli per l’instaurazione di un pensiero compositivo.

Attività pratiche di creazione e composizione

Giochiamo con tre note

Ma facciamo un esempio pratico (nel libro ce ne sono tantissimi). Come può un bambino, che, come abbiamo detto sopra, non possiede il bagaglio teorico e pratico della grammatica musicale, che ancora non sa leggere uno spartito, che non conosce i codici convenzionali, che non sa suonare, comporre?

Scegliamo tre note. Facciamole ascoltare più e più volte così che i bambini possano interiorizzarle. Poi cominciamo a interrogarci sulle relazioni tra questi tre suoni: quante combinazioni sono possibili? Se poi chiediamo di disporli lungo una linea, ecco che scopriremo come si organizza il pensiero musicale di ogni bambino. Ad esempio: quali note ha usato di più? Perché ha scelto proprio quell’ordine? E le pause? Cosa cambia se utilizziamo delle pause? Perdiamo qualcosa o guadagniamo qualcosa? In questo modo la discussione può procedere anche sulla notazione, nel momento in cui, ad esempio, dobbiamo inventare dei segni per codificare suoni e pause.

In questo modo il bambino, attraverso un’attività pratica, sta di fatto già assimilando dei concetti musicali: suono, pause, durate, intervalli.

Esploriamo uno strumento

Un altro esempio di un’attività, questa volta di carattere maggiormente “fisico”. Prendiamo uno strumento musicale. Pensiamo a che mole di informazioni un bambino deve assimilare solo per capire come tenere in mano quello strumento, dove mettere le dita, in che posizione e poi, per suonare, dovrà pensare a delle note, a degli accordi, memorizzare delle posizioni, tenere il tempo, ecc.

Proviamo invece a prendere una chitarra e cerchiamo il modo più comodo per tenerla (ad esempio in posizione verticale anziché orizzontale) ed esplorarla come se fosse un oggetto venuto dallo spazio, principalmente attraverso il tatto.

A questo punto chiediamo al bambino di selezionare due o tre cose che ha scoperto, quelle che lo hanno maggiormente affascinato, e con quegli elementi chiediamogli di comporre una prima piccola forma musicale. Poi facciamo questa domanda: se dovessimo disegnare questi suoni, che segni useremmo? E discutere in gruppo su una possibile scrittura.

Ecco, attraverso questi primi due esempi, è facile capire come il bambino – ci dice Matteo – “sta partorendo criticamente la cultura, sta rivisitando in prima persona gli elementi del linguaggio e il rapporto tra significato e significante”. Ma capiamo anche che, in questo modo, il bambino acquisisce una postura nel mondo, quella postura che lo porterà a porsi domande e a vedere che è nell’ovvio che ci sono i grandi buchi.

I benefici del coinvolgimento emotivo

Accendere la scintilla

Il capovolgimento della piramide è quindi un’esigenza sociale e politica, prima ancora che didattica. Quando, insegnando qualcosa ai nostri alunni, presentiamo gli argomenti già belli e pronti, già finiti e impacchettati, stiamo di fatto dicendo loro che il mondo è un dato di fatto e non può essere cambiato.

Se, invece, proviamo ad accendere una scintilla dentro di loro, che li stimoli a esplorare e a trovare soluzioni alternative, ecco che otterremo moltissimi benefici. Da un punto di vista squisitamente didattico, il primo beneficio è che ci sarà maggior coinvolgimento, che gli alunni si divertiranno.

Ecco perché la musica non basta leggerla ed eseguirla (quante persone, tra l’altro, hanno il talento, la predisposizione e il tempo per riuscire bene in questo?), ma bisogna farla in prima persona, manipolando il materiale sonoro, esattamente come fanno i bambini molto piccoli col materiale destrutturato che si offre loro (colori, sabbia, pezzettini di legno, ecc).

Favorire l’interazione degli studenti

A questo punto chiedo a Matteo come mai, in una pedagogia che da decenni parla di creatività, di pensiero laterale e, in ambito musicale, di composizione, prima ancora che di letto-scrittura, questo approccio non attecchisce?

Matteo risponde: “Perché abbiamo paura di dare la parola alle classi. E questo in tutti gli ambiti disciplinari”.

Noi pensiamo, anche legittimamente, che ci siano dei contenuti incontestabili e imprescindibili che è necessario acquisire prima ancora di esprimersi. È il cosiddetto processo di acculturazione. Il paradigma è: ma se non hai una alfabetizzazione, come fai a creare? Pertanto, prima viene la trasmissione unilaterale del sapere e poi (più che altro individualmente e autonomamente, e cioè spesso fuori dalla scuola) puoi provare a creare.

Ma questo paradigma scricchiola, perché (oggi sempre di più) non riesce a tenere l’interesse degli studenti, i quali si chiedono: “Ma perché mai devo imparare questa cosa? A cosa può mai servirmi?”. Non sentono che sia fondamentale imparare quell’argomento, e questo incrina il rapporto tra insegnante e ragazzi e il rapporto stesso con la scuola, che diventa qualcosa di totalmente avulso dalla vita.

Allora non è più interessante creare un modello maggiormente interattivo, dove il coinvolgimento emotivo possa accendere la scintilla e, solo dopo, andare verso un apprendimento più teorico e concettuale della materia?

Quindi, prima fare, creare, esplorare; e solo dopo riflettere, decodificare. La riflessione deve esserci, ma deve essere partecipativa, auto-generativa e circolare. “Tanti insegnanti soffrono le pene dell’inferno, ma non hanno vie di uscita e bisogna proporgliele”.

L’importanza della cultura generale dell’insegnante

Quando infine chiedo a Matteo se è necessario che l’insegnante (penso soprattutto alla scuola primaria) debba avere specifiche competenze musicali per condurre questo tipo di lavoro con la classe, lui risponde di no. Ciò che è necessario è la cultura generale del maestro e non quella specifica, perché solo una cultura ampia e onnivora può permettere di fare connessioni tra i saperi.

Un insegnante, dunque, dovrà possedere tanti riferimenti in ambito non solo musicale (classico e contemporaneo), ma anche in quello cinematografico, delle arti visive, del teatro e della letteratura. Solo mettendosi egli stesso nella posizione di chi vuole scoprire e creare cose nuove, potrà generare ogni volta risultati sempre diversi.

Foto di RDNE Stock project da Pexels.

Alessandra Maltempo

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