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bambino con un dispositivo digitale e genitore sullo sfondo

Bambini e digitale: come sostenere la lotta alla dipendenza dagli schermi

Negli ultimi mesi stiamo collaborando a un interessantissimo progetto europeo Erasmus+ denominato Surviving Digital. Il titolo è decisamente evocativo: sopravvivere al digitale.

Il progetto si propone di affrontare i problemi legati all’eccessiva esposizione dei bambini agli schermi digitali, con particolare attenzione per le situazioni di vulnerabilità sociale, promuovendo la consapevolezza digitale tra gli adulti, attraverso un approccio partecipativo basato sulla condivisione di esperienze. Gli obiettivi sono rivolti a una vasta gamma di destinatari, tra cui genitori, educatori, personale medico e autorità locali.

Sopravvivere al digitale: un’emergenza educativa

Gli schermi occupano un posto considerevole nella vita di ognuno di noi e, in particolare, dei nostri figli. La tecnologia digitale ha assunto un’importanza crescente e irreversibile in tutti i campi della nostra vita personale e dell’intera società. Tuttavia, nel corso degli anni, è emerso chiaramente che questa evoluzione ha avuto anche effetti deleteri che destano grande preoccupazione, soprattutto da quando gli ormai numerosissimi studi internazionali al riguardo hanno confermato che quanto più precocemente esponiamo un bambino agli schermi, tanto maggiori saranno gli effetti negativi che questi avranno sullo sviluppo del linguaggio, delle capacità motorie, dell’attenzione, della cognizione e della regolazione emotiva.

Eppure, nonostante l’allarme lanciato da psicologi, pedagogisti e pediatri, molti genitori (e le stesse istituzioni) sembrano sottovalutare questo rischio, motivo per cui si rende necessario agire non solo attraverso delle vere e proprie campagne di sensibilizzazione, ma anche e soprattutto attraverso attività di formazione. Un genitore (e un educatore) informato diventa consapevole. E un genitore (e un educatore) consapevole diventa responsabile. Consapevolezza e responsabilità rappresentano quindi l’unico possibile argine al problema, l’unica possibile cura per i nostri bambini.

Inevitabilità del digitale o semplice pigrizia?

Sempre più spesso i genitori utilizzano lo schermo (e con schermo intendiamo tv, cellulare, tablet e per i più grandi anche videogame) come sostituto o meglio – per dirla con le parole del pedagogista Cosimo Di Bari – con funzione di delega e di anestetizzante.

Nel libro I nativi digitali non esistono, Di Bari spiega che con funzione di delega si intende quando “la tecnologia è usata dagli adulti (in modo particolare dai genitori) per delegare agli schermi funzioni che dovrebbero spettare all’essere umano”. Per funzione anestetizzante, invece, si intende la “tendenza di alcuni genitori a servirsi degli schermi per “incantare “ i bambini e ottenere così obiettivi altrimenti irraggiungibili“.

In altre parole, piazzare un bambino (anche molto piccolo) davanti a uno schermo significa di fatto “silenziarlo” e “immobilizzarlo”, così che il genitore possa dedicarsi tranquillamente ad altro. Lo schermo anche come “ciuccio” per calmarlo, per gestire una crisi di pianto o la frustrazione ad un “no”.

Per molti genitori il digitale è però (a loro dire) inevitabile, perché il mondo ormai è questo e quindi bisogna in qualche modo farsene una ragione. Questo modo di percepire la questione mette al riparo il genitore da ogni responsabilità educativa. Ma, come dice sempre Di Bari:

Siamo sicuri che la scelta di accendere uno schermo non sia dettata più dalla pigrizia che da una reale esigenza?

E in effetti bambini e digitale non sono mondi che necessariamente devono dialogare, non così prematuramente, almeno. L’ambiente in cui cresce un bambino non è inevitabilmente digitale. Dipende dalla “dieta” che gli si vuol far seguire. È l’adulto, infatti, che decide cosa il bambino deve indossare, quale tipo di alimentazione seguire, quale scuola frequentare, a che ora andare a dormire, a quali contenuti avere accesso. Per cui è sempre un adulto che liberamente (e non inevitabilmente!) decide di mettere nelle mani di un bimbo uno smartphone o un tablet anziché dei giochi analogici, come una giostrina o delle costruzioni.

Questa precisazione è molto importante da fare non per colpevolizzare i genitori, ma per superare quello che sembra il primo (e insormontabile) ostacolo a una possibile educazione al digitale, ovvero il falso mito che l’uso degli schermi da parte nostra e dei nostri figli sfugga al nostro controllo.

La “scusa” dei contenuti digitali educativi e didattici

Un’altra precisazione importante da fare è che i pericoli derivanti dall’uso massivo di strumenti digitali non si evitano semplicemente (del tutto o in parte) proponendo contenuti c.d. educativi o didattici e questo per tre motivi:

1) Il cervello dell’essere umano si sviluppa attraverso attività di tipo sensoriale e relazionale (imparo toccando, manipolando, ascoltando, interagendo) e non sfiorando uno schermo con il dito.
2) Finora nessuno studio ha dimostrato una correlazione positiva tra l’esposizione precoce ai media e l’apprendimento. Non solo: gli esperimenti hanno dimostrato che anche i bambini più grandi faticano a trasferire ciò che hanno imparato sugli schermi tattili al mondo reale, un fenomeno noto come deficit di trasferimento.
3) È un dato oggettivo che chi (bambino, ragazzo o adulto) trascorre troppo tempo davanti agli schermi automaticamente dedichi meno tempo ad altre attività, pur fondamentali e necessarie per un sano sviluppo psico-emotivo, come ad esempio stare all’aria aperta, incontrare gli amici, fare sport, musica, ecc. (c.d. effetti negativi indiretti).

Che fare?

Dalla ricerca contributiva portata avanti dal progetto internazionale Surviving Digital e dalle buone pratiche messe in campo dalla città Saint-Denis (Comune capofila alle porte di Parigi) è venuto fuori che il problema si può affrontare solo grazie a un sistema integrato e di sinergia tra diversi soggetti. Questo perché bisogna guardare al problema della dipendenza dal digitale non più come un problema del singolo o del nucleo familiare, ma come a un’emergenza sociale che in quanto tale deve preoccupare (e riguardare) innanzitutto l’istituzione pubblica, lo Stato, attraverso i suoi diversi apparati. L’abuso di digitale ha un impatto sul benessere fisico e psichico dell’intera popolazione e nessuno di noi è immune.

È quindi principalmente lo Stato che – insieme alla Scuola e alle organizzazioni private – deve intervenire in modo da educare a un uso corretto, consapevole e positivo del “media”, mettendo in campo diverse azioni quali:

  • campagne di sensibilizzazione;
  • creazione di strumenti tangibili e trasferibili per adulti e genitori (studi, metodologie, guide e incontri di formazione);
  • interventi nelle scuole di educazione al digitale da personale specializzato;
  • scambi di know-how e buone pratiche su scala nazionale ed internazionale.

Ciò che come Pot in Pot e Accademia degli Stracuriosi stiamo facendo è contribuire alla stesura e alla pubblicazione di un manuale mediante il quale offrire a genitori ed educatori strumenti pratici con cui affrontare e gestire il rapporto col digitale attraverso la proposta di attività alternative al digitale, insieme ad attività che utilizzano sì il digitale, non come sostituto, ma come supporto, in quanto il digitale (specifichiamolo a scanso di equivoci!) è infatti un “media” e come tale non può essere né buono, né cattivo. È l’uso che se ne fa a fare la differenza.

Nel frattempo che una rete organica si attivi (e prima ancora di affrontare temi ancora più specifici legati a una vera e propria educazione ai media) è bene che i genitori abbiano ben presente queste semplici linee-guida.

Poche e semplici regole: il primo passo spetta ai genitori

In ambito italiano, nel 2018 la Società Italiana di Pediatria ha dato indicazioni molto specifiche, invitando i genitori a non utilizzare smartphone e tablet prima dei 2 anni e comunque mai durante i pasti e prima di andare a dormire.

Nel rapporto L’enfat et les écrans (Bambini e schermi) del 2013, l’Accademia Francese delle Scienze precisa che comunque dopo 2 anni bisogna tenere il tempo di utilizzo dello schermo entro i 15 minuti e che la fruizione debba avvenire sempre con la mediazione di un adulto. Successivamente, a partire dai 5 anni, il tempo di fruizione può aumentare fino a 45 minuti. Molti studiosi consigliano in ogni caso di non utilizzare videogiochi prima dei 6 anni e internet prima dei 9. Dai 9 ai 12 si apre la possibilità di utilizzare i contenuti web, ma mai in autonomia.

Sul ruolo di mediatore del genitore (o comunque dell’adulto) ampio spazio dedica sempre Cosimo di Bari, nel suo libro sopra citato, rispetto all’azione di accompagnamento. Cosa significa accompagnare? Significa osservare le reazioni del bambino e interagire con lui per stimolare la riflessione su quanto visto, ma anche per utilizzare quei contenuti come pre-testo per affrontare la discussione e/o l’approfondimento sui temi più disparati.

Riepilogando

La gestione consapevole del digitale è un’azione fondamentale in ambito educativo. Gestire vuol dire innanzitutto stabilire – in base all’età del bambino – regole e limiti relativi:

  • al tempo di esposizione (quanto?);
  • al momento di fruizione (quando?);
  • ai contenuti e alla tipologia dello strumento digitale (cosa?).

In ogni caso mai utilizzare i dispositivi per calmare o distrarre i bambini.

Infine, citando ancora una volta Di Bari: “Oltre a prevedere tempi e contenuti, l’esposizione non dovrebbe avvenire in autonomia o in isolamento: un’attenzione da mantenere almeno fino ai 10 anni, anche se la presenza dell’adulto tenderà gradualmente a sfumare”.

Foto di Racool_studio da Freepik.

Alessandra Maltempo

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