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I diritti del genitore

Facciamo di questi giorni un’opportunità per esercitare i nostri diritti di genitore.

Al di là dei problemi legati al lavoro e alla scuola che le misure di contenimento del coronavirus inevitabilmente portano con sé e al di là del dibattito sui limiti della Didattica a Distanza e sulla necessità di trovare al più presto soluzioni che contemperino il diritto alla scuola con quello della tutela della salute pubblica, io sono fermamente convinta che questa emergenza sia un’opportunità per noi genitori. Così come penso sia un’opportunità anche per la Scuola. Entrambi possiamo infatti fare una riflessione seria e profonda sul significato del verbo ‘educare’, nonché sull’assunzione di una responsabilità che non può (nel caso della Scuola) limitarsi a ‘istruire’, e nel caso dei genitori non può limitarsi al fine settimana o ai ritagli di tempo.

Purtroppo, troppo spesso, stare con i propri figli sembra qualcosa di alienante, di non naturale, di stressante. E questo non perché siamo dei cattivi genitori, ma perché siamo costretti dall’organizzazione sociale ed economica (che si basa sulla logica della produttività) a non poterci dedicare ai nostri bambini quanto e come vorremmo. Eppure stare con loro è l’unica esperienza non artefatta che ci rimane e della quale dovremmo chiedere a gran voce il diritto. Stiamo attenti, quindi, a non cadere in una pericolosa trappola.

Oggi, infatti, non siamo chiamati ad essere bravi cuochi, bravi animatori, bravi maestri di grammatica, bravi insegnanti di educazione fisica, perché questo inevitabilmente ci porta a rimpiangere la scuola, il catechismo, i nonni e la baby-sitter, senza di contro trovare soluzioni soddisfacenti, quanto meno nell’immediato. Oggi, più di ieri, siamo invece chiamati a fare “semplicemente” i genitori. Facile a dirsi, no? Facciamo un passo alla volta, però: innanzitutto proviamo a capovolgere il modo di intendere questo ruolo, ovvero non come un dovere, ma come un diritto.
Un diritto negato, limitato, dimenticato.

I diritti dei genitori

1. Diritto ad avere più tempo

Innanzitutto, possiamo e dobbiamo riappropriarci del diritto al tempo. È vero che molti di noi continuano a lavorare (spesso in smart working), ma è anche vero che la rottura di una certa routine e la possibilità (in alcuni casi) di un’organizzazione diversa dell’orario di lavoro, potrebbero favorire la creazione di una dimensione del tempo più distesa.
Passare più tempo con i nostri figli, dunque.
Non è sempre stato, forse, uno dei nostri principali crucci?
Per educare a 360 gradi i nostri figli, ci vuole tempo, infatti. Quello che non abbiamo. Quello che non ci è concesso. E il tempo-qualità da solo spesso non basta. Serve anche la quantità.
Il diritto al tempo è dunque IL “diritto-genitore” ovvero quello senza il quale l’esercizio degli altri (seguenti) diritti diventa più difficile e faticoso.

2. Diritto a ritagliarsi spazi di intimità

Non mi riferisco all’intimità insita alla natura stessa del rapporto genitore-figlio. Non parlo dell’intimità fisica, quella fatta di gesti di cura e di affetto quotidiani. Parlo di un’intimità diversa… Non avete mai la sensazione che la ‘connessione’ con vostro figlio subisca continue interferenze? Che c’è sempre qualcosa fra lui e voi? Che c’è sempre un pensiero da scacciare, una telefonata a cui rispondere, una cena da preparare, una faccenda da sbrigare che si mette in mezzo come un terzo incomodo? A me succede continuamente! Questa cosa di essere interrotti, distratti, di non riuscire a dedicare loro – completamente! – occhi, parole, mente e braccia, seppur per un tempo relativamente limitato, è frustrante ed alimenta il senso di stanchezza e fatica che spesso ci pervade. L’intimità di cui parlo è quindi quella che si crea in assenza di tutto il resto, è un ‘vuoto’ che si riempie da sé di un prezioso significato, e la ‘connessione’ che così finalmente si instaura (a tratti magicamente telepatica!) crea le condizioni perché possiamo davvero assolvere al nostro ruolo: quello di educare.

3. Diritto a esercitare il dialogo

Nella condizione di intimità di cui sopra, possiamo infatti mettere in atto una potente azione educativa: quella del dialogo. Non si tratta di parlare del più o del meno. O, meglio, spesso un dialogo potrebbe iniziare benissimo così, ma poi, senza forzature, deve andare ‘oltre’. Come? Partiamo dalla parola stessa – ‘dialogo’ – che nel suo significato etimologico vuol dire contrapposizione di pensieri e idee. No, non mi riferisco a un litigio o a una discussione, ma di un vero e proprio esercizio filosofico in cui il confronto pacifico di opinioni ha l’obiettivo di stabilire una ‘verità’.
Ora, cosa c’entra tutto questo con i nostri figli, soprattutto se piccoli?
C’entra, se pensiamo a questa contrapposizione in termini di visione del mondo. Dalla semplice condivisione di un’esperienza, di un ricordo, di un evento o dallo scambio di opinioni intorno a un film o a un libro, possiamo ascoltare il nostro bambino, carpire il significato più intimo e profondo delle sue domande, dei suoi dubbi o delle sue convinzioni. Possiamo accogliere il suo punto di vista e provare ad ampliare il suo orizzonte, proponendogli nuove chiavi di interpretazione e conoscenza della realtà. Attraverso il dialogo, inoltre, possiamo anche fare un esercizio di empatia grazie al quale trovare un nuovo punto di vista, il suo (spesso più saggio, più logico, più ambizioso del nostro) e fare una sana autocritica.

4. Diritto a coltivare i sentimenti

Come dice Galimberti “Se le emozioni sono in parte naturali in parte orientate dall’educazione, i sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura. I sentimenti si imparano.
Come? Ma attraverso la letteratura, ovvio! Se è vero che la letteratura svolge la funzione di comprendere e di interpretare l’esistenza nel suo significato più profondo, la letteratura per l’infanzia ne assolve anche un’altra, quella – attraverso l’immedesimazione nel protagonista della storia – del riconoscimento della condizione dell’essere ‘bambino’. Tale riconoscimento e, meglio ancora, le azioni e le risorse (interne ed esterne) che il protagonista mette in campo per superare le difficoltà, mostrano al lettore le infinite possibilità di percepire se stesso e gli altri, di comprendere e rispondere ai propri bisogni e di proiettarsi gradualmente verso la ‘condizione’ di adulto anche attraverso la forza del ‘desiderio’.
Leggere, quindi, sempre, ogni giorno, ‘per’ e ‘con’ il nostro bambino. La sera, a letto, quando il buio rende invisibile agli occhi ciò che di giorno è visibile (per parafrasare la nota frase di un noto libro), concediamoci dunque il diritto al nostro momento di intimità e di dialogo sui sentimenti con il nostro bambino.

5. Diritto a nutrire la curiosità

La stagione dei ‘perché’ non dovrebbe improvvisamente e tragicamente arrestarsi intorno ai 6 anni (guarda caso proprio quando i bambini fanno il loro ingresso nella Scuola Primaria). Quando letteralmente ci bombardano di domande, non dovremmo mai limitarci a risposte superficiali e frettolose. Tale tipo di risposte, infatti, non sortirebbero altro effetto se non quello di gettare acqua sul desiderio di conoscenza che, come un fuoco, brucia dentro ogni bambino.
Se nei primi 7-8 anni di vita (ovvero nell’età in cui il pensiero magico la fa ancora da padrone) la maggiore difficoltà nel dare risposte soddisfacenti sta nella necessità di semplificarle (ovvero di tradurle con parole, concetti e metafore alla loro portata), possiamo sempre farci aiutare dai libri e da quegli autori che col linguaggio dei bambini hanno più dimestichezza. Sono tantissimi i libri sui “perché” a mio avviso validi. Quelli che però mi sento di consigliarvi sono quelli che dalle domande più bizzarre dei bambini non si lasciano spiazzare, ma vi giocano in maniera leggera, profonda e fantasiosa proprio come leggera, profonda e fantasiosa è l’anima dei bimbi. Ve ne consiglio due su tutti: “Perché io sono io e non sono te?” di Tomi Ungerer e “Il libro dei perché” di Gianni Rodari.
Quando i bambini sono più grandi e bisogna quindi accompagnarli alla scoperta delle cose del mondo attraverso un pensiero più logico e razionale, i loro perché diventano occasione di conoscenza anche per noi. Mio figlio, ad esempio, fa continuamente domande che riguardano l’Universo e leggi fisiche e meccaniche. Poiché io in queste cose sono una frana, succede che le risposte io debba cercarle con lui, così che leggere, sfogliare, guardare, diventa davvero un’attività che facciamo insieme, in quanto è il desiderio di entrambi di “sapere per comprendere” (come direbbe Gardner) che quel momento condiviso va a soddisfare.

E voi cosa ne pensate? Quali le soluzioni e i piccoli cambiamenti che possano garantire un esercizio più pieno del diritto ad essere genitore?
 Condividete con noi i vostri pensieri inviandoci un messaggio o utilizzando sui canali social l’hashtag #stracuriosi. 

Alessandra Maltempo

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