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“Guarda!” e “Aspetta!” Due verbi per riflettere sulla relazione adulto-bambino.

Avete notato con quale incredibile frequenza un bambino pronuncia la parola “Guarda!”? Fateci caso: la ripetono continuamente, per ogni minima cosa. Tutto ciò che fanno – soprattutto quando giocano – è accompagnato da questo imperativo rivolto all’adulto, in particolare al genitore: “Guarda!…. Guarda!!… GUARDA!!!”.
Soprattutto ora, che i nostri bimbi sono a casa con noi genitori praticamente 24h/24; forse perché è con molta fatica che cerchiamo di trovare un po’ di concentrazione per lavorare, fatto sta che “Guarda!” è diventata una sorta di intercalare martellante!

Ovviamente, sarebbe alquanto riduttivo e superficiale liquidare questa parolina di 6 lettere come espressione dell’egocentrismo dei bambini, soprattutto in età pre-scolare. Il suo vero significato (il sotto-testo, come lo chiamiamo noi attori) è inequivocabile. Egli ci sta infatti dicendo: “Guarda cosa ho imparato!”, “Guarda cosa so fare!” o anche “Guarda come mi diverto!”, “Guarda come sono felice!”. In altre parole, quando il bambino dice ‘Guarda!’ vuole semplicemente esistere agli occhi dell’adulto che ama: “Guardami! Sono qui!”. Questo perché i bambini costruiscono la loro identità attraverso lo sguardo dell’adulto che svolge la funzione di uno specchio. Se tu mi vedi, io allora ci sono, esisto. Se quindi attraverso quello sguardo il bambino legge partecipazione, approvazione, allora costruirà un’identità di sé positiva.

Ma se, di contro, dovessimo dire qual è la parola usata più spesso dall’adulto in risposta a questo richiamo di attenzione, questa sarebbe sicuramente “Aspetta!”. C’è sempre qualcosa – non dico di più importante – ma quantomeno di più urgente. Una telefonata da fare, un pranzo da preparare, una email da inviare, una trasmissione da ascoltare. “Aspetta!”, quindi, accompagnato da varianti su tema quali: “Dopo”, “Non ora”, “Più tardi”, “Un attimo”.

Guardare come gesto di partecipazione e cura

Ho però anche notato che durante una lezione di teatro con i bambini, ad esempio, la parola ‘Guarda’, magicamente scompare. E perché? Perché nella relazione che si instaura fra adulto e bambino in quello spazio e in quel tempo preciso e delimitato, “Guarda!” non ha mai come risposta un “Aspetta!”. L’insegnante è lì proprio per questo, semplicemente per… guardarlo! E attraverso il suo sguardo attento guidarlo, sostenerlo, spronarlo, riconoscerlo.
Il bambino tutto questo lo sente perché il ‘guardare’ è un atto fisico tangibile, prima ancora che mentale. L’atto del ‘vedere’ sottende una volontà chiarissima: quella della condivisione e della partecipazione emotiva ai diversi giochi, azioni ed esplorazioni di espressione del sé.
Ecco perché, mai come in questo momento, mi sono resa conto di quanto sia necessario e importante soffermarci più spesso durante la giornata su questa azione del ’guardare’ i nostri bambini, che non vuol dire semplicemente “volgere lo sguardo verso qualcuno o qualcosa”, ma appunto assistere, custodire, prendersi cura.

Essere guardati come bisogno di condivisione

Il bisogno dei nostri bambini di essere guardati mentre fanno qualcosa è infatti fondamentale tanto quanto fare attività insieme. In questo tempo di distanziamento e lontananza, notavo, ad esempio, come nei contatti virtuali i bambini esprimano spessissimo il desiderio di mostrare oggetti, giocattoli, animali domestici e provare così a rinsaldare la relazione con gli altri attraverso questo semplice gesto del ‘guardare’.

Qualche giorno fa mio figlio ha fatto il suo secondo collegamento online con la Scuola. In entrambe le occasioni ha aspettato in silenzio il momento in cui – del tutto spontaneamente – avrebbe potuto mostrare a compagni e insegnanti un oggetto. Ieri ha scelto un piccolo cuscino con l’immagine di una macchina. L’aver scelto proprio quel cuscino – ovvero, paradossalmente, un oggetto non ‘importante’ per lui e nemmeno particolarmente interessante per gli altri – mi ha stretto il cuore. Lui non ha scelto le sue costruzione Lego Thecno (a cui pure si dedica con tanta passione), non ha scelto il suo Doc-Robot e nemmeno la lumaca che abbiamo adottato da una settimana. Ha scelto un banalissimo cuscino.

Questo mi ha fatto capire che non era l’oggetto la cosa importante, ma, appunto, il gesto in sé con tutto il meraviglioso significato intrinseco che si porta dentro. Per lui, in quel momento, ciò che era assolutamente importante e necessario, era appunto il gesto del condividere. ‘Guarda il mio cuscino!’, voleva dire quindi offrire qualcosa di suo e fare in modo che anche solo attraverso lo sguardo gli altri potessero possederlo, e possedendo il suo oggetto entrare in relazione con lui e con il suo vissuto.
A volte bastano pochi minuti per accogliere e soddisfare questo bisogno.

Sforziamoci quindi di ‘guardare’ davvero i nostri bambini. In silenzio, magari, ma col sorriso sulle labbra. E lasciamo che per qualche istante sia tutto il resto a dover ‘aspettare’.


Se hai bisogno di idee e suggerimenti più specifici scrivici all’indirizzo email redazione@accademiadeglistracuriosi.it. Il team dell’Accademia degli Stracuriosi è a tuadisposizione per aiutarti a trovare idee creative per rendere più divertente anche ciò che solitamente non lo è.

Alessandra Maltempo

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