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Cosa significa avere davvero fiducia nei nostri bambini?

F di Fiducia. Cosa significa avere davvero fiducia nei nostri bambini

C’è un proverbio africano bellissimo che dice:

Portiamo i nostri bambini sulle spalle così che possano guardare lontano.

Questa per me è una frase che ha molto a che fare con un’altra parola-chiave del nostro Alfabeto Stracurioso: fiducia.

In ambito educativo, quando normalmente si parla di fiducia, ci si concentra sul tema della fiducia che i bambini devono acquisire in se stessi e non sul tema della fiducia che l’adulto deve acquisire nei confronti dei bambini.

Avere fiducia nei bambini, infatti, non significa solo incoraggiarli, sostenerli, ma – prima ancora – abbracciare un Credo: quello della fiducia totale nella loro intelligenza, sensibilità, profondità d’animo; fiducia nella loro capacità di introspezione e di “produrre” pensiero. In una parola: di saper “guardare lontano”, appunto.

La domanda, quindi, è: quanta fiducia gli adulti ripongono davvero nei bambini? Se un adulto non crede che il bambino possegga la capacità di ‘guardare lontano’, sentirà ugualmente il bisogno di metterlo sulle sue spalle? Ovvero, creerà quelle condizioni necessarie perché possa guardare da sé?

Non è una domanda scontata, perché – ahimè – ciò che spesso noto è che gli adulti in realtà non hanno (sempre) abbastanza fiducia nei bambini. Non fino in fondo.

Qualche esempio…

Un genitore che si ostina a comprare scarpe senza lacci, non ha fiducia che il suo bambino possa imparare ad allacciarsele da solo.

Un adulto (insegnante o genitore) che non accende la curiosità e l’interesse dei bambini su cose o argomenti considerati troppo complessi per loro – come le meraviglie dell’universo o la musica di Mozart o un dipinto del Botticelli – è perché non ha abbastanza fiducia nei bambini.

Quando in certe recite scolastiche ai bambini si fanno dire battute che mai penserebbero e pronuncerebbero, è perché non si ha abbastanza fiducia nei bambini.

Stessa cosa per certi “lavoretti” di fine anno e legati alle festività, che tanto tempo tolgono alle maestre e ben poco lasciano ai bambini.

O ancora: quando vogliamo sensibilizzare a temi delicati e importanti come il bullismo o la disabilità, e lo facciamo con storielle moraleggianti, frasi retoriche, slogan, video melensi, non facciamo altro che dimostrare di non avere abbastanza fiducia nei nostri bambini.

Cosa significa tutto questo?

In pratica, tornando alla nostra bellissima immagine del proverbio africano, in tutti questi casi noi non stiamo mettendo il bambino sulle nostre spalle, ma gli stiamo solo descrivendo ciò che vediamo noi dalla nostra altezza e pretendiamo che anch’egli veda la stessa cosa affidandosi soltanto al nostro sguardo e non ai suoi stessi occhi!

E questo perché la verità è che crediamo che non sia in grado di vedere ciò che vediamo noi.

Questo è un atteggiamento decisamente anti-pedagogico ed è un male non solo per il bambino, ma per l’adulto stesso che perde un’opportunità: quella di sorprendersi!

E sapete perché?

Perché un bambino sulle nostre spalle guarda lontano da una altezza che non soltanto non è la sua, ma – a pensarci bene – non è  nemmeno la nostra.
Insomma, ciò che vede con il nostro aiuto potrebbe essere qualcosa di diverso non solo da quello che potrebbe vedere restando alla sua altezza (cioè senza la facilitazione da parte dell’adulto), ma anche da quello che possiamo vedere noi dalla nostra!

Un aneddoto

Qualche anno fa, chiesi a un gruppo di allievi di teatro di circa 7 anni di improvvisare delle scene senza parole sul tema musicale dell’amore che Nino Rota compose per il film “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli.
Non so se lo ricordate (magari cercatelo su internet): è un motivo romantico, vagamente malinconico.

Ebbene, nonostante nessuno dei bambini avesse mai ascoltato quella musica prima, né tanto meno sapesse da quale film fosse tratta, e nonostante non gli avessi raccontato nulla della storia di Romeo e Giulietta (e nemmeno – scoprii dopo – nessuno di loro la conosceva); insomma, nonostante nessuno del gruppo avesse la benché minima informazione su quella melodia senza parole, due gruppi su tre sorprendentemente misero in scena un funerale.

Proprio come nell’Opera di Shakespeare, erano riusciti a cogliere il connubio ‘amore e morte’; avevano sentito, in quella melodia – così dolce, delicata, quasi nostalgica –  il buio, il nulla, la fine.

Ecco: se non avessi avuto fiducia in quel gruppo di bambini, probabilmente avrei raccontato loro cosa “vedevo” io in quella musica, quali immagini evocava in me, privandoli così della possibilità di esplorarla da sé, di lasciarsi ispirare, di creare immagini autonomamente.

Ecco allora, che non basta raccontare ai bambini cosa noi scorgiamo ‘lontano’ e nemmeno basta metterli sulle nostre spalle; è necessario anche affidarci al loro sguardo e scoprire, insieme a loro – dentro una relazione di fiducia reciproca – cosa c’è… ‘lontano’.


Questo articolo fa parte della rubrica: “Il metodo Stracuriosi dalla A alla Z”. Settimana dopo settimana, lettera dopo lettera, condivideremo con voi quali sono i principi, i valori, le parole chiave alla base del nostro metodo. Scopri tutte le altre lettere.

Photo by Any Lane from Pexels

Alessandra Maltempo

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