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Pandemia, DAD e i nostri bambini

Pandemia, DAD e piccoli gesti per aiutare i nostri bambini

Mi ero ripromessa di non parlare della pandemia. E’ tutto troppo complesso, confuso, contraddittorio, faticoso. Ma oggi sento fortissimo il bisogno di farlo, perché, come spesso mi succede, quando provo a mettere nero su bianco i miei pensieri sparsi, fra le parole ritrovo un senso, seppur temporaneo, ma pur sempre un senso che mi aiuta a orientarmi nella ricerca di azioni concrete.
Insomma, quello che vorrei provare a fare confrontandomi – seppur indirettamente – con voi, è cercare una sponda a cui aggrapparci: giusto il tempo di riprendere una boccata d’ossigeno per poi rituffarci nel fondo di questo mare senza ancora alcuna terra all’orizzonte.

All’inizio nessuno di noi poteva immaginare che questa pandemia sarebbe durata così a lungo. Dopo una prima fase, in cui alcuni (me per prima) erano riusciti persino a trasformare questo scenario di morte e paura in un’occasione di riflessione e di cambiamento, ora, a distanza di un anno, la situazione si fa sempre più insostenibile. “Se tutto questo sacrificio servisse almeno a qualcosa… Un punto zero da cui ripartire…”. E’ questo l’unica immagine positiva, di speranza, che la mia mente riesce a pensare.

Ma poi la cronaca del presente torna a pesare, ad avvilire. Tutta colpa di questa totale mancanza di immaginazione nel trovare soluzioni o, quanto meno, nel limitarne i danni. Allora davvero l’unica cosa che possiamo fare è resistere? E’ non cedere all’urto? Continuare a ‘esistere’, in qualche modo, e nonostante tutto?
Come educatrice e genitore, rispondo che no, resistere non basta, perché abbiamo la responsabilità dei nostri bambini. Hanno bisogno di noi, queste piccole, delicate e meravigliose esistenze, vittime silenziose non del Covid, ma della totale incapacità di gestione della pandemia e (prima ancora dell’incapacità di gestione), dell’incapacità di comprensione.

Abbiamo dimenticato i bambini

Il Covid ha fatto venire a galla i problemi che da tanto tempo molti psicologi e pedagogisti denunciano, ma a cui nessuno vuol dare ascolto. E se oggi non riusciamo a proteggere i nostri bambini, ad aiutarli, è perché per troppo tempo li abbiamo dimenticati.

Li abbiamo dimenticati come genitori, troppo assorbiti dal lavoro. Li abbiamo dimenticati come insegnanti, troppo concentrati sulla ‘quantità’ e sul ‘cosa’ e pochissimo non sulla ‘qualità’ e sul ‘come’. E più di tutti li ha dimenticati la politica, troppo presa ad ammodernare la Scuola con l’introduzione di una inutile tecnologia, dimenticando che l’educazione è fatta innanzitutto di persone; dimenticando che la figura professionale dell’insegnante va formata per essere in grado di pensare e mettere in campo metodologie didattiche sulla base non di aridi programmi o competenza informatiche, ma sulla base della conoscenza profonda di ‘cosa è un bambino’ e della relazione affettiva che con ognuno dei propri alunni riesce a costruire.

In una sola parola, li ha dimenticati il mondo adulto, nessuno escluso, che continua a costruire una realtà a sua immagine e somiglianza: egoista, consumistica, prepotente, opulenta, narcisistica.

Piccoli momenti di felicità e piccoli gesti di ribellione

Se, quindi, né la politica, né la Scuola, né la famiglia riescono a trovare soluzioni o a dare almeno sollievo e conforto, è solo per questo: perché abbiamo perso l’abitudine ad ascoltarli, perché non li conosciamo profondamente, perché non sappiamo più di cosa hanno bisogno davvero.

E allora? Che si fa? Come insegnante, come genitore – stanco, frustrato, disilluso, impotente, abbandonato a se stesso – nel mio agire quotidiano, che cosa posso fare per tornare ad essere un porto sicuro, un àncora di salvezza, il capitano della nave in tempesta?
Quello che dico da sempre. Fermarci. Possiamo fermarci e costruire piccoli momenti di felicità. Piccoli atti di ribellione quotidiana!

Io, mamma o papà, cosa posso fare?

Al diavolo la cena, stasera ordiniamo una pizza così nel frattempo organizziamo un pic-nic! Dove? Anche qui, sotto casa, su quella panchina o lì di fronte, sotto quell’albero. E sarà bello proprio perché non sarà un vero pic-nic. Sarà ancora più divertente perché strampalato!
E dopo cena, niente TV. Prendiamo un gioco di società e quando ci stuferemo di giocarci cambiamo le regole. E quando ci saremo stancati anche con le regole nuove, allora domani prendiamo carta e penna e ne inventiamo uno nuovo! Ti va?
E quando arriverà quella giornata in cui saremo entrambi troppo stanchi e troppo arrabbiati per avere la forza di inventare e immaginare, allora andiamo in macchina e partiamo. Per dove? In nessun posto. Facciamo il giro del paese. Cinque minuti, giusto il tempo di ascoltare quella canzone che ci piace tanto, quella rock, quella che ci fa scatenare. 

E io? Io insegnante, che faccio? 

Beh, innanzitutto, al diavolo il programma! Oggi ci parlo con i miei bambini. C’è Aurora che sono giorni che mi chiede di potermi mostrare i suoi disegni. E Lorenzo muore dalla voglia di raccontarci che dopo Pasqua arriverà un cagnolino e che il suo nome sarà Spillo. E dopo che abbiamo chiacchierato un po’ chiederò loro: cosa vi piacerebbe fare oggi? Sì, glielo chiedo, senza avere paura della risposta che arriverà all’unisono: “Giochiamo!”. Va bene, sì, giochiamo, anch’io che sono ormai grande e che sono la maestra ho voglia di giocare, di ridere insieme a voi, di conoscervi meglio. Inventiamo un gioco insieme, dai! Non sarà il caos! Non sarà la fine del mondo! Diventerete lo stesso medici, avvocati, artisti, commessi, artigiani o qualsiasi altra cosa deciderete di fare. Io, però, vi aiuterò a dare una forma a questo gioco, delle regole, un obiettivo. Magari formiamo delle squadre, eh? Insomma, proverò a costruire per voi un nuovo spazio di vicinanza, di relazione, di confronto. Niente esclude che magari riusciamo a tirare in ballo i numeri, qualche parolina con un suono difficile, i nomi delle piante che abbiamo studiato l’altro giorno durante la lezione di scienze!
La Scuola è per i bambini, non sono i bambini per la Scuola! Le tabelline possono aspettare, il resto no.

L’amore a distanza non può esistere per un bambino. L’amore si nutre di presenza. Noi adulti sopperiamo con le chat, con una telefonata, con la riunione su Zoom. Per i bambini no, tutto questo non può essere. I bambini vivono ogni aspetto della loro vita (affettivo, cognitivo, emotivo) facendo cose insieme agli altri, condividendo esperienze, con gioia, curiosità, entusiasmo!

Azzeriamo tutto, vi prego. Non abbiamo altra scelta: azzerare, capovolgere, osare. Cosa abbiamo da perdere?
Nulla, tranne loro.

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Alessandra Maltempo

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